Nella Anfuso, L'Età
d'oro del canto, Fondazione Centro Studi Rinascimento Musicale,
Sezze Romano 2002, pp. 117, s.i.p.
C'è
qualcosa di severo e assoluto nel modello estetico portato
avanti da Nella Anfuso, cantatrice e studiosa singolarissima dei
nostri tempi. Severo nella condanna di ogni degenerazione rispetto
agli esiti raggiunti in quelli che
furono
da diversi punti di vista i secoli d'oro del canto italiano (dal
Cinquecento fino alla fine del Settecento). Assoluto nell'insistenza
su un ideale di tecnica vocale basato sulla perfetta fusione dei
registri, sull'emissione limpida, su una virtuosità che si ispira al
canto degli uccelli e sull'impiego dei portamenti; sulla
superiorità, in definitiva, di quella scuola italiana «che
utilizza al massimo le possibilità dello strumento vocale e ne
salvaguarda contemporaneamente la salute fisiologica».
Questo volume, che risale a otto anni fa ma che non era mai stato
recensito su MUSICA, colpisce per la passione e per la coerenza con
cui l'autrice mette a fuoco la sua visione della storia del canto;
una visione polemica e controcorrente rispetto a molte verità
diventate pigramente «ufficiali» nei decenni recenti, ma resa più
persuasiva da una serie di citazioni singolarmente pertinenti: di
trattatisti celebri come Tosi e Mancini, ma anche di studiosi meno
conosciuti come Bonini, Bontempi e Leonesi e di compositori come
Caccini, Rossini e Chopin.
Gli argomenti toccati sono tantissimi - si parla dei trilli, dello
spiccato e della sprezzatura; della musica nei monasteri femminili,
della vocalità
della Malibran e dei malintesi degli specialisti odierni di musica
antica - ma il nesso logico che unisce il discorso non è mai in
dubbio.
Stephen Hastings
MUSICA -
Maggio 2010